In Italia il lavoro si può definire “migrante”, ma perché? Scopriamolo!
L’Expo universale di Milano, ormai percorso già da milioni di persone, è un evento globale, così come sono globali le migrazioni. Nel 2014 i viaggiatori entrati in Italia dall’estero sono stati un po’ più di 78.000.000, dei quali 38.783.000 hanno effettuato come minimo un pernottamento. Nella maggior parte dei casi lo hanno fatto per motivi personali (al primo posto vi sono le vacanze, poi lo studio, i motivi religiosi e visite a parenti e amici) e nel 18% dei casi per motivi di affari e di lavoro che, al netto dei lavoratori stagionali e frontalieri, hanno portato in Italia più di 10 milioni di immigrati. Coloro che sono venuti per lavoro hanno effettuato una spesa di 7,4 miliardi di euro, che si aggiungono ai circa 25 miliardi di euro spesi da altri viaggiatori. La mobilità delle popolazioni, spesso raccontate da soliti cliché, presenta anche questi aspetti, davvero positivi per l’economia italiana.
L’internazionalizzazione dell’Italia, infatti, è sostenuta non solo dagli immigrati, arrivati quasi da tutti i paesi del mondo, ma anche dagli italiani emigrati all’estero e dai loro figli e discendenti (in parte rimpatriati): al pari degli stranieri in Italia, sono circa 5 milioni i nostri connazionali all’estero, se a quelli iscritti nell’apposita anagrafe del Ministero dell’Interno si aggiungono anche quelli registrati, al momento, solo presso i Consolati. Nel complesso, l’Italia influisce in misura notevole sugli oltre 232 milioni di migranti nel mondo. L’agricoltura del nostro Paese riesce a mantenere il suo livello di eccellenza in Europa e nel mondo anche grazie al contributo degli immigrati, destinato ad aumentare. L’internazionalizzazione dell’occupazione e la crescita nazionale possono crescere insieme, a condizione di favorire un proficuo inserimento e di intervenire sulle svariate forme di sfruttamento a danno dei lavoratori del settore (che siano questi immigrati e non).